B33 and NGC2024 nebulae

La B33 del vicino è sempre più v̶e̶r̶d̶e̶ rossa

In questo sito trovate perlopiù foto della Luna (almeno al momento) e in effetti ho trascorso mesi fra il 2020 e il 2021 a fotografare il nostro satellite, fino a farne un po' la mia specialità (e a farmelo venire a nausea: nell'arco di diciotto mesi ho scattato oltre 15.000 fotografie a pressoché qualunque fase lunare, con una frequenza quasi quotidiana e maniacale).
In realtà la curiosità per l'astrofotografia vera e propria, quella che punta l'obiettivo verso il cielo stellato e gli oggetti dello spazio profondo, è nata un po' prima, a fine primavera 2020, grazie a due circostanze solo per caso attinenti in qualche modo fra loro. 
La prima è stata imbattermi casualmente su internet nella fotografia di un transito solare della ISS, ovvero del passaggio della stazione spaziale internazionale davanti al disco solare, e la meraviglia nello scoprire che era una foto scattata con una normalissima reflex digitale come quelle che maneggio quotidianamente.
La seconda, l'avvento della cometa Neowise, protagonista nei nostri cieli dell'estate 2020 e di milioni di fotografie rilanciate da tutti i social network, catturata persino con le semplici fotocamere dei telefoni cellulari.

Ho fotografato (male) a mia volta entrambi gli eventi di cui sopra, ma ne scriverò in altra occasione. Qui volevo raccontare dell'ultimo lavoro che ho appena concluso e che rappresenta un po' la sintesi del mio percorso da quasi due anni a questa parte nel campo dell'astrofotografia.

L'immagine in apertura a questo post è di una delle coppie di nebulose più popolari e fotografate del nostro cielo: NGC 2024, nota agli appassionati come nebulosa Fiamma, e Barnard 33 (B33), meglio conosciuta come nebulosa Testa di Cavallo per via della caratteristica conformazione che assume (NGC e B sono le sigle relative ad alcuni sistemi di classificazione dei cosiddetti "oggetti del cielo profondo", o DSO secondo l'acronimo anglofono; codici usati in astronomia che identificano pressoché tutto quel che è osservabile e catalogabile del nostro universo).
Per ottenere questa immagine ho impiegato dieci giorni di lavoro (e sette nottate), spesi fra acquisizione ed elaborazione al computer di un grandissimo numero di fotografie digitali. La cosa straordinaria di questa immagine è che ritrae qualcosa che si trova a più di mille anni luce da noi e, soprattutto, che è stata ottenuta senza telescopio: ho usato una normale macchina fotografica digitale e un po' di attrezzatura accessoria, non strettamente indispensabile, ma che certamente semplifica assai il procedimento.
Incredibile, vero?

Barnard 33, la Testa di Cavallo, è uno dei primi DSO ai quali mi sono prima appassionato e poi applicato. È un'immagine che ricorre assai frequentemente quando si parla di astrofotografia, un po' per la forma caratteristica e suggestiva della nebulosa, un po' perché è uno degli oggetti più facili da localizzare nei nostri cieli senza dover ricorrere a una strumentazione ad hoc (sebbene, a differenza di altre nebulose e galassie, sia pressoché impossibile da identificare in assenza di una buona macchina fotografica), un po' perché tutta la regione di cielo nella quale si trova, la costellazione di Orione, oltre ad essere estremamente popolare anche fra chi di norma non si occupa di stelle e corpi celesti, è fra le più ricche di oggetti facilmente fotografabili anche con attrezzatura limitata e senza particolari investimenti.
Di per sé, la Testa di Cavallo non è in realtà così semplice da immortalare, anzi: sebbene sia facile orientarsi fra le stelle per capire dove si trova, riuscire a catturarla davvero con una foto, soprattutto nel cielo particolarmente inquinato dalla luce artificiale delle nostre città, è tutta un'altra faccenda che richiede molta pazienza e parecchio tempo speso sia nell'acquisizione dei dati (ovvero, nell'esposizione delle immagini necessarie), sia nell'elaborazione successiva delle fotografie.

Localizzazione delle nebulose B33 ed NGC2024 in Orione
Localizzazione delle nebulose B33 ed NGC2024 in Orione

Nel nostro cielo esistono oggetti molto più facili da fotografare per un principiante, talvolta visibili anche a occhio nudo (quando è sufficientemente limpido): ad esempio, rimanendo nella regione di Orione, la famosa M42, ovvero la Grande Nebulosa di Orione, così luminosa da essere chiaramente distinguibile nelle notti particolarmente serene anche senza usare un binocolo; o la Galassia di Andromeda, che in assenza di inquinamento luminoso appare alla vista come una stella arancione molto luminosa e dal bagliore diffuso - sapendo dove cercarla e come identificarla.
Questi oggetti sono "fotografabili" con un singolo scatto ad esposizione sufficientemente lunga fatto con una qualunque macchina fotografica e un normale obiettivo. Scrivo "fotografabile" fra virgolette per intendere che, in questo caso, il risultato non sarà certo paragonabile a quello dell'immagine di questo post, ma comunque chiaramente distinguibile nell'inquadratura.
M42 può essere immortalata persino con un cellulare, a condizione di un cielo perfettamente limpido, avere un punto di appoggio per mantenere l'inquadratura immobile e naturalmente accontentarsi di una foto che mostrerà, di fatto, solo una macchia molto luminosa piuttosto ampia in mezzo alle altre stelle. 

B33 e la vicina NGC 2024 sono invisibili a occhio nudo, molto più piccole all'osservazione rapportate alle dimensioni degli oggetti precedenti, e soprattutto assai meno luminose: anche usando una buona macchina fotografica e un'esposizione lunga a sufficienza non è possibile individuarle con una singola fotografia, a meno di cieli eccezionalmente limpidi nei quali appaiono comunque come una macchia grigiastra molto debole e sbiadita, appena distinguibile dal buio dello spazio circostante.
Nonostante ciò, sono uno dei target più ambiti proprio in virtù della facile localizzazione unita alla possibilità di fotografarle senza usare telescopi e all'indiscutibile fascino che esercitano sull'immaginario: se volete stupire gli amici fotografando suggestive nebulose colorate nel cielo profondo, l'accoppiata Testa di Cavallo e Fiamma è il soggetto perfetto che richiede quel minimo di strumentazione, competenza ed esperienza sufficienti a far sì che non sia possibile fotografarlo uscendo semplicemente sulla terrazza di casa e scattando una foto col cellulare.

E dunque, dopo i primi tentativi con oggetti più facili e tradizionali (M42 e Andromeda, ovviamente), aver fatto mie un minimo di nozioni base e adottato qualche accorgimento tecnico per aggiornare la mia attrezzatura fotografica, nell'autunno del 2021 ho iniziato anche io ad andare a caccia di Barnard 33, che è in breve diventata la mia prima vera sfida all'astrofotografia amatoriale di livello avanzato.

Per ottenere l'immagine di questo post mi ci sono voluti sei mesi di approfondimento della tecnica e dei software da utilizzare (sempre siano benedette le infinite risorse di internet), di tentativi spesso infruttuosi, di nottate trascorse al freddo in terrazza a combattere con l'attrezzatura fotografica per inquadrare correttamente le nebulose, di momenti di estrema frustrazione, di tempo irrimediabilmente buttato in procedimenti sbagliati, di piccoli successi ottenuti passo dopo passo e di progressivi aggiustamenti dell'attrezzatura con utili accorgimenti più o meno significativi. 

I miei progressi nei tentativi di fotografare B33
I miei progressi nei tentativi di fotografare la nebulosa B33

Una delle caratteristiche dell'astrofotografia è che spesso ci vogliono ore, o addirittura giorni, per capire se si sta procedendo nel modo corretto e per vedere il risultato del proprio lavoro. Di norma si avanza alla cieca, di passaggio in passaggio, basandosi perlopiù sulle esperienze precedenti e/o su quel che si è letto in giro.

L'elemento chiave nel procedimento di acquisizione è che, di fatto, fotografate cose che "non vedete" davvero, o che al massimo appaiono come semplici punti luminosi da prendere come riferimento. Quindi, in assenza di una costosa attrezzatura specifica che faccia il lavoro sporco al vostro posto orientandosi automaticamente nel cielo e puntando la macchina fotografica con assoluta precisione senza bisogno di alcun intervento, dovete mettere in conto, e in campo, tanta pazienza, preparazione, intuito e fortuna.
Nel caso di Barnard 33, puntare l'obiettivo dove presumibilmente si trova la nebulosa è piuttosto facile; esserne certi e soprattutto riuscire a mantenere la medesima inquadratura per centinaia di scatti, soprattutto nel corso di serate consecutive, è tutt'altra storia.

La prima volta che ho potuto "vedere" la foto di questo post è stata dopo circa una settimana di lavoro, l'ultimo passaggio del quale aveva richiesto al computer oltre ventiquattr'ore di calcolo effettuato sulla base di alcuni parametri che avevo impostato basandomi solo sui miei pochi tentativi precedenti con altri soggetti.
Il risultato, a quel punto, si era rivelato un disastro. Ho avuto un momento di profondo sconforto e la tentazione di buttar via tutto.
Il problema è che non avevo idea se quel disastro fosse dovuto a qualcuno dei parametri impostati per quell'ultima procedura, il che avrebbe comportato tornare indietro nel procedimento di ventiquatt'ore, oppure - ad esempio - nella modalità di acquisizione delle centinaia di foto iniziali, cosa che avrebbe significato buttare via intere giornate (e nottate) di lavoro.
Ho impiegato un'intera giornata solo per farmi un'idea di dove avessi sbagliato e decidere da quale punto della procedura ripartire.

Fra i numerosi problemi da affrontare nel fotografare oggetti come le nebulose e le galassie, il principale è l'esigenza di accumulare informazione, ovvero dati, in gran quantità, il che si traduce nell'esporre l'oggetto della fotografia per tempi lunghissimi col fine di catturare quanto più possibile la debolissima luce che emette.
In parole poverissime, l'obiettivo è "sommare" un gran numero di fotografie fino a raggiungere un tempo di esposizione di diverse ore. Più è lungo il tempo di esposizione complessivo, più la qualità del risultato finale sarà migliore.
Non esiste un tempo limite, né uno ideale: si possono ottenere buoni risultati con un'ora di esposizione in un cielo particolarmente limpido mirando a oggetti molto luminosi, o aver bisogno di quindici, venti, quaranta ore di esposizione per oggetti la cui luminosità è molto debole, o sotto cieli molto inquinati.

L'immagine di questo post è ottenuta a partire da un insieme di fotografie il cui tempo complessivo di esposizione è superiore alle dodici ore. Questo si può sostanzialmente ottenere in due modi: allungando i tempi di esposizione di ciascuna foto per cercare di ridurre il numero complessivo di foto necessarie, o aumentando il numero totale delle fotografie. Di solito si cerca il miglior compromesso fra le due soluzioni in funzione di tantissime variabili che dipendono essenzialmente dall'attrezzatura di cui si dispone (fotografica e computazionale per l'elaborazione delle immagini) e dalla località dalla quale si scattano le foto (presenza o meno di inquinamento luminoso).
La cosa fondamentale da ricordare sempre è che più fotografie si usano, più serviranno tempo e risorse per la loro memorizzazione ed elaborazione. In astrofotografia è un attimo arrivare a 1Tb di dati da elaborare. Per questo è importante fare tutto quello che è possibile per cercare di allungare i tempi di esposizione e ridurre il numero di immagini da elaborare, senza rinunciare alla qualità del risultato finale.

Un altro fattore da considerare nel fotografare gli oggetti in cielo - siano essi la Luna, i pianeti, o le stelle - con lunghe esposizioni, è che va tenuto conto del loro moto apparente: maggiore è la lunghezza focale dell'obiettivo che stiamo usando, più rapidamente gli oggetti si spostano nella nostra inquadratura e allungando i tempi di esposizione anche solo di frazioni di secondo le foto vengono irrimediabilmente mosse.
Per realizzare fotografie come quella di questo post e allungare il più possibile i tempi di esposizione è necessario dunque innanzitutto "inseguire" le stelle nel loro moto orbitale, ovvero far sì che la macchina fotografica segua il moto apparente del cielo stellato mantenendo l'inquadratura allineata al riferimento iniziale mentre scatta le foto. In altre parole, le stelle non dovranno spostarsi nell'inquadratura mentre vengono riprese.
Nel caso non abbiate uno strumento adeguato per inseguire, o come si dice in gergo, tracciare le stelle, esistono tantissimi modi e risorse sul web per calcolare il tempo massimo possibile di esposizione in funzione della propria macchina fotografica e dell'obiettivo utilizzato affinché le stelle rimangano puntiformi e non lascino una scia luminosa sulla foto, ma in generale vi basti sapere che di norma questo tempo può anche dover essere inferiore al secondo, soprattutto se usate uno zoom. Con un tempo di esposizione di alcuni secondi gli astri rimarranno impressi sulla fotografia come scie luminose.
Questo è il motivo principale per cui in astrofotografia si usano strumenti come gli "astroinseguitori", ovvero delle montature particolari sulle quali innestare la macchina fotografica in modo che ruoti seguendo il moto celeste durante gli scatti e le stelle rimangano perciò puntiformi anche con esposizioni prolungate.

Senza entrare qui nel mondo infinito degli astroinseguitori, che sono strumenti assai sofisticati, quello che è importante osservare è che non sono necessariamente accuratissimi, ma piuttosto hanno un margine di tolleranza, e che, come sempre accade, più volete risparmiare meno l'astroinseguitore sarà preciso nel suo compito (il che non significa che non vi semplificherà la vita in modo assai significativo).
Un normale astroinseguitore amatoriale, come quello da me utilizzato, è in grado di consentire di aumentare i tempi di esposizione fino a qualche minuto prima che le stelle lascino le scie luminose, perlomeno con focali corte e obiettivi grandangolari. Perfetti dunque se volete fotografare la Via Lattea in montagna anche con un solo scatto.
Aumentando la lunghezza focale dell'obiettivo (e il peso dell'attrezzatura montata sull'astroinseguitore) lo strumento tende a faticare nell'inseguire correttamente il moto delle stelle e i potenziali tempi di esposizione si riducono sensibilmente, rimanendo però sempre ben al di sopra di quel che è possibile fare a macchina fotografica ferma sul treppiede.
A titolo di esempio, per l'immagine della Testa di Cavallo pubblicata in questo post ho usato uno zoom da 600mm di lunghezza focale: con il mio astroinseguitore posso esporre una singola foto fino a 20" prima che la rotazione dello strumento perda l'allineamento e le stelle diventino scie luminose; senza astroinseguitore basterebbe un secondo di esposizione perché affiorino le scie.

Un'altra caratteristica intrinseca dell'astroinseguitore è che a prescidere dal tempo di esposizione impostato per le foto non dovrete intervenire sull'inquadratura, che rimarrà centrata sul vostro obiettivo per diverse ore e centinaia di scatti. Se utilizzate un normale treppiede, oltre a essere costretti a fotografare con tempi di esposizione molto più brevi, dovrete riallineare l'inquadratura ogni pochi minuti: un incubo se fotografate oggetti facili, molto luminosi e con ampie focali; pressoché improponibile con focali lunghe e oggetti dello spazio profondo.

Una volta trovata la giusta combinazione fra tempo di esposizione, ISO (troppo alti catturano una gran quantità di inquinamento luminoso e rumore di fondo, troppo bassi non catturano abbastanza luce), diaframma, messa a fuoco, bilanciamento dei pesi e orientamento polare dell'astroinseguitore (capitoli e capitoli a parte!), si può iniziare a raccogliere dati, ovvero scattare e scattare e scattare decine, centinaia, migliaia di foto, sempre della medesima inquadratura, con il fine di ottenere un tempo di esposizione il più lungo possibile, potenzialmente di diverse ore, in modo da immagazzinare quanta più luce, e dunque informazione, possibile.
Più si riesce ad allungare i tempi di esposizione senza che nelle foto appaiono scie luminose, meno foto sono necessarie; più corti sono i tempi di esposizione delle foto, più ne sono necessarie.
Più lungo è il tempo di esposizione complessivo, migliore è la qualità del risultato finale.
Più foto si accumulano, più si allungano i tempi successivi di elaborazione al computer e le risorse necessarie (spazio disco, CPU, eccetera).
Insomma: l'astrofotografia è innanzitutto una continua ricerca del miglior connubio fra capacità e risorse in ambito fotografico, e capacità e risorse in ambito computazionale.

A latere, una delle caratteristiche di questo lavoro è che non si raggiunge mai un risultato definitivo: oltre a poter rielaborare e interpretare le immagini acquisite con modalità sempre diverse e, ogni volta, con maggiore esperienza, è sempre possibile accumulare ulteriori dati da aggiungere a quelli già acquisiti anche a distanza di mesi, e dunque aumentare i tempi di esposizione e migliorare ogni volta la qualità del risultato finale.
Per quel che mi riguarda resta tuttavia il fatto che, sebbene a ogni giro riesca a indubbiamente a migliorarmi, le foto della B33 fatte da altri astrofotografi che seguo su Instagram e Reddit sono sempre (molto) più belle delle mie. Ancora non mi è chiaro se 'sta cosa sia un incentivo, o piuttosto una fonte di estrema frustrazione, considerato tutto il tempo speso fino ad ora per riuscire a ottenere questi risultati.

Alcuni dati tecnici per tutti gli appassionati. L'immagine di questo post è stata ottenuta usando una Canon 90D equipaggiata con un filtro a banda stretta Optolong L-Pro per abbattere l'inquinamento luminoso. L'obiettivo utilizzato è un Sigma Contemporary 150-600mm alla sua massima lunghezza focale. L'inquadratura effettiva rispetto al cielo e alla costellazione di Orione è rappresentata dal rettangolo rosso di riferimento indicato nell'immagine precedente.

Per il tracciamento ho usato uno Skywatcher StarAdventurer 2i modificato con un contrappeso da 2,5kg in aggiunta a quello standard da 1kg, col fine di bilanciare il peso dello zoom. Il contrappeso supplementare è stato montato ortogonalmente rispetto alla barra standard, così da equilibrare perfettamente l'assetto complessivo per tutta la durata della rotazione, limitando al massimo possibile lo sforzo del motore dell'astroinseguitore.
In totale l'attrezzatura montata sull'astroinseguitore ha pesato per circa 8kg, decisamente ai limiti, se non oltre, le specifiche dichiarate per lo StarAdventurer, che comunque ha retto bene grazie al bilanciamento ottimale.
Ho collegato lo StarAdventurer, la macchina fotografica e una fascia riscaldante per lo zoom a un power bank da 50.000mAh, abbondantemente sovradimensionato per le circa quattro ore a serata di riprese.

L'immagine finale è stata ottenuta attraverso la registrazione e lo stacking (due processi di cui parleremo in altra occasione) di 2166 fotografie, selezionate fra oltre 4000, scattate a ISO1250, f/6.3 e tempo di esposizione 20", per un totale di circa dodici ore di esposizione integrata.
Le foto sono state acquisite nell'arco di sette serate: nella stagione attuale Orione compare già alta nel cielo subito dopo il tramonto del sole e tramonta a occidente verso mezzanotte; considerato l'inquinamento luminoso della zona in cui vivo, è fotografabile al massimo nell'intervallo 19:00-23:00 circa.

Oltre ai "light frame", ovvero le fotografie vere e proprie, ho acquisito anche 97 flat field frame e 133 bias frame in un'unica soluzione durante la prima sessione, e 311 dark frame distribuiti nelle diverse serate, col fine di calibrare le fotografie e migliorare il rapporto segnale rumore.

Il volume complessivo dei dati trattati, comprese tutte le immagini generate dalle elaborazioni intermedie, è superiore a 1,2Tb.

I processi di registrazione e stacking sono stati eseguiti con Siril su un iMac del 2013 Intel quad-core collegato a un NAS QNap, e hanno impiegato circa 36 ore.
Le fasi di post produzione sono state eseguite con PixInsight, Photoshop e Topaz AI Denoise su un MacBook Pro M1 8+8 core del 2021.

La regione della cintura di Orione dove si trovano B33 ed NGC2024
La regione della cintura di Orione dove si trovano B33 ed NGC2024
The basic equipment I use to get pictures like this
La configurazione standard che uso per riprendere oggetti come la nebulosa B33

 

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